30 Giugno 2017
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Prof. Pansadoro oggi parliamo del tumore del rene, malattia imprevedibile, spesso asintomatica ma talvolta aggressiva e con crescita molto rapida.
Il carcinoma renale è il terzo tumore urologico più frequente dopo quello alla prostata e alla vescica e colpisce soprattutto gli uomini oltre i 60 anni d’età. Oggi viene spesso curato in modo definitivo, anche nei casi più difficili, perché scoperto quando è in forma ancora localizzata, mentre forme voluminose, magari già con metastasi, si diagnosticano sempre più raramente.
Il tumore del rene è molto diffuso?
Il tumore del rene rappresenta circa il 2 per cento di tutti i tumori e si presenta nel sesso maschile con una frequenza doppia rispetto al sesso femminile. La probabilità di sviluppare questo tumore cresce con l’aumentare dell’età ed il picco massimo di insorgenza è appunto intorno ai 60 anni.
Chi è a rischio?
Tra i fattori esogeni, il principale ed il più diffuso fattore di rischio è il fumo di sigaretta: il numero di sigarette fumate ogni giorno e il numero di anni di esposizione sono direttamente proporzionali all’aumento del rischio di questa malattia.
Un altro fattore di rischio per il tumore del rene è rappresentato dall’esposizione cronica ad alcuni metalli e sostanze particolari (l’asbesto, il cadmio, la fenacetina ed il torotrasto).
Anche l’obesità, l’ipertensione arteriosa e la dialisi di lunga durata sono fattori di rischio.
Esistono infine delle forme ereditarie molto rare quali la sindrome di von Hippel-Lindau, trasmessa dal gene VHL.
Quali sono le diverse tipologie del cancro del rene?
Quando parliamo delle malattie neoplastiche del rene dobbiamo innanzitutto distinguere tra i tumori del parenchima renale ed i tumori delle vie urinarie, a livello renale.
Gli Adenocarcinomi rappresentano la forma tumorale più frequente (75% dei casi) e sono tumori del parenchima. Vi sono poi le neoplasie transizionali che originano dall’epitelio di rivestimento delle cavità renali e delle vie urinarie. In questi casi la chirurgia deve essere estesa a tutto l’albero urinario omolaterale perché limitare l’intervento alla nefrectomia significa lasciare nel paziente delle strutture potenzialmente malate.
Un altro tipo di tumore del rene, più raro, è rappresentato dai sarcomi nelle loro varie forme (liposarcomi, leiomiosarcomi, rabdomiosarcomi, angiosarcomi, fibrosarcomi) che originano da tessuti diversi (dalla capsula oppure dalle strutture che circondano il rene).
Quali sintomi possono indicare la presenza di questa patologia?
In fase iniziale questa malattia può non avere alcuna sintomatologia specifica. Comunque il sintomo clinico per eccellenza del tumore renale è l’ematuria (sangue nelle urine). Attualmente data la frequenza con cui vengono eseguiti esami di controllo come l’ecografia renale, più del 60% dei tumori del rene viene diagnosticato in fase precoce, quando è ancora possibile procedere alla asportazione del solo tumore evitando la nefrectomia radicale. Altri sintomi classici di tumore del rene sono una massa palpabile nell’addome ed il dolore localizzato a livello lombare. I sintomi sono contemporaneamente presenti solo nel 10 % dei casi e generalmente sono espressione di una malattia già in fase avanzata. Peraltro, data la precocità della diagnosi, oggi è estremamente raro che un paziente presenti questi sintomi clinici.
E’ possibile prevenire il tumore del rene?
Non si può, per la verità, parlare di prevenzione quanto di diagnosi precoce. Allo stato attuale non è possibile prevenire il tumore del rene, se non evitando i fattori di rischio come ad esempio il fumo. L’esecuzione annuale di un’ecografia dell’addome può favorire la diagnosi precoce sia del tumore al rene che di patologie tumorali di altri visceri (fegato, pancreas).
Il cancro del rene può dare metastasi?
Sì, sia attraverso i vasi linfatici regionali sia attraverso i vasi sanguigni. E’ interessante sottolineare che alcune neoplasie sono particolarmente aggressive e anche se confinate al rene e di piccole dimensioni, possono dare metastasi ad altri organi. Nella maggioranza dei casi le metastasi si presentano tra il secondo ed il quarto anno dopo l’intervento chirurgico: per questo gli urologi intensificano i controlli proprio in questo periodo ed è molto importante che i pazienti seguano con attenzione i consigli del loro medico di fiducia.
Parliamo adesso degli esami diagnostici.
L’esame clinico e la presenza di sangue nelle urine consentono di solito solo diagnosi tardive. Per una diagnosi precoce è fondamentale il supporto dato dalla diagnostica per immagini. L’ecografia è in grado di distinguere tra una massa di natura solida (più preoccupante) ed una cisti (in genere ripiena di liquido), mentre la tomografia computerizzata (TAC) o la Risonanza Magnetica (RM) oltre a distinguere la natura della massa offrono ulteriori informazioni sull’estensione locale della malattia e su eventuali metastasi. La classica Urografia è ormai considerato un esame obsoleto ed è stato sostituito completamente dalla UroTAC o dalla UroRM che ci permettono di visualizzare e di ricostruire perfettamente le vie urinarie. La citologia urinaria è indicata quando vi sia un sospetto di neoplasia delle vie urinarie.
Le principali indicazioni sono quelle per un intervento chirurgico che salvaguardi la funzionalità dell’organo. È esatto?
Per minimizzare l’invasività delle terapie anche quando il rene controlaterale (quello non intaccato dal cancro) è sano, si procede con interventi chirurgici detti “nephron-sparing”. Si rimuove solo la zona dell’organo affetta dal tumore con una porzione di tessuto sano circostante per avere un margine di sicurezza. La parte di rene residuo rimane in sede e può svolgere le sue funzioni in modo naturale. La premessa fondamentale è che la neoplasia abbia dimensioni contenute, fino a 4-6 centimetri di diametro, e che sia trattabile chirurgicamente. Cioè che sia visibile sulla superficie dell’organo e non interessi l’ilo renale dove sono presenti i vasi principali del rene Questo approccio, alla base della chirurgia mini-invasiva ‘organ-sparing’, è indicato in tutti i casi di pazienti che hanno un unico rene, anche se il carcinoma è di dimensioni superiori ai 4 centimetri, per evitare la dialisi.
Tutto questo è possibile grazie ai grandi progressi in laparoscopia e soprattutto nella robotica. Cosa consiglia ai suoi pazienti?
La chirurgia laparoscopica e robotica mini invasiva ha fatto negli ultimi anni passi da gigante. Gli interventi di Tumorectomia Renale si eseguono oggi in maniera ottimale con la laparoscopia, ma ancora meglio con la chirurgia robotica. Infatti, il Robot “da Vinci” è dotato di una visione in alta definizione (HD) ed a “3D”, preziosa per questa chirurgia che si svolge all’interno del rene, con un ingrandimento fino a 10 volte. I bracci articolati hanno una libertà di movimento completa, il che permette di sezionare il parenchima renale con un margine di sicurezza di 5-10 mm intorno alla neoplasia, ovviamente in relazione alla posizione della neoplasia. Anche nel decorso post-operatorio i vantaggi rispetto alla chirurgia tradizionale sono notevoli: ridottissime perdite ematiche, minor tempo di ospedalizzazione e di ripresa delle normali attività.
A patto, però, di affidarsi a centri che possano vantare esperienza consolidata in questo campo.
Per quanto riguarda chemioterapia e radioterapia è corretto dire che le neoplasie renali non rispondono a cure di questo tipo?
La cura dei tumori avanzati è alquanto problematica, per quanto riguarda il rene. L’adenocarcinoma non risponde, infatti, alla maggior parte degli agenti chemioterapici disponibili, che non hanno potere distruttivo su questa neoplasia. Per questo la chirurgia costituisce la terapia di riferimento anche nei confronti di carcinomi renali in stadio avanzato, con invasione degli organi adiacenti o in progressione metastatica.
Quindi in caso di insuccesso della chirurgia non vi sono altre terapie disponibili?
Fortunatamente da qualche anno la ricerca di base e la ricerca clinica hanno individuato delle molecole, conosciute come “terapie a bersaglio molecolare”, che agiscono sui varie recettori e fattori di crescita vascolari che alimentano la crescita del tumore. Infatti senza la neo angiogenesi la malattia non può progredire. Bloccando questi fattori di crescita si riesce a controllare lo sviluppo del tumore e/o delle metastasi. In pratica non si elimina la malattia ma si impedisce che questa avanzi e può anche regredire. In altre parole ci si avvia verso la cronicizzazione della malattia, anche per molto tempo. Infatti la sopravvivenza mediana di questi pazienti, in questa fase di malattia metastatica, si aggira sui 2-3 anni.
E nel campo dell’Oncologia guadagnare anni può significare moltissimo, dato il continuo sviluppo di questa branca della medicina.