30 Giugno 2017 · admin · Commenti disabilitati su Tumore alla prostata, intervista con il prof. Vito Pansadoro
Tumore alla prostata, intervista con il prof. Vito Pansadoro
In questa breve intervista il prof. Pansadoro risponde ad alcune delle domande più frequenti dei suoi pazienti riguardo al tumore della prostata.
Prevenzione, fattori di rischio, diagnosi e trattamento del carcinoma prostatico sono argomenti che gli utenti del portale accoglieranno sicuramente con interesse, per conoscere meglio il proprio corpo e per prevenire una patologia diffusa ma ampiamente curabile. Soprattutto se diagnosticata precocemente.
Prof. Pansadoro iniziamo con una domanda fondamentale: che cos’è il tumore della prostata?
La prostata è una ghiandola dell’apparato riproduttivo maschile posizionata sotto la vescica e di fronte al retto, ha di norma le dimensioni di una noce e produce una parte del liquido seminale rilasciato durante l’eiaculazione.
La patologia più grave che può colpire questa ghiandola è il carcinoma prostatico , il più frequente tumore maligno tra gli uomini oltre i 50 anni di età. Anche se la frequenza di questa patologia è in continuo aumento il rischio che la malattia abbia un esito letale non è particolarmente elevato, a patto che si faccia prevenzione e che la patologia venga scoperta per tempo.
Circa il 70% degli adenocarcinomi ha origine nella zona più esterna della prostata, ed è pertanto molto importante controllare periodicamente lo stato della prostata e monitorare eventuali variazioni di forma e volume.
Per questa ragione sono consigliati regolari controlli annuali a partire dai 50 anni d’età.
Nel caso vi siano altri casi di carcinoma prostatico in famiglia i controlli devono iniziare a 40 anni.
Quali sono i principali fattori di rischio del carcinoma prostatico?
Uno dei principali fattori di rischio per il tumore della prostata è l’età : prima dei 40 anni le possibilità di ammalarsi di tumore della prostata sono scarse, ma aumentano sensibilmente dopo i 50 anni. Oltre i 65 anni le percentuali aumentano ulteriormente, tanto che 2 tumori su 3 vengono diagnosticati proprio in questa fascia di età. Oltre gli 80 anni il tumore della prostata è ancora più frequente ma nella maggior parte dei casi la malattia è asintomatica o ha una progressione molto lenta .
Un altro fattore rilevante è la familiarità , il rischio di ammalarsi è doppio per chi ha un parente consanguineo (padre, fratello, ecc.) che ha sviluppato la malattia.
La componente genetica è un fattore da tenere sotto controllo: la presenza di mutazioni in alcuni geni come BRCA1 e BRCA2 o del gene HPC1, può aumentare il rischio di sviluppare un cancro alla prostata.
Lo stile di vita può incidere sul benessere generale dell’organismo e in tutti i casi determinate abitudini come una dieta ricca di grassi saturi, la mancanza di esercizio fisico e il sovrappeso possono favorire lo sviluppo e la crescita del tumore della prostata.
Quando è opportuno consultare un urologo?
Un uomo con un cancro alla prostata , soprattutto in fase iniziale, può non presentare alcun sintomo o avere una sintomatologia molto scarsa. Nei soggetti anziani, spesso i sintomi del tumore alla prostata vengono confusi con quelli dell’ipertrofia prostatica benigna.
Comunque i sintomi più frequenti sono:
– disturbi minzionali sia di tipo irritativo che ostruttivo (pollachiuria, stranguria, disuria)
– dolori perineali
In una fase più avanzata la malattia può manifestarsi con:
– dolori alle ossa dovuti alle metastasi
– insufficienza renale (da ostruzione ureterale)
– ritenzione urinaria
– edemi agli arti inferiori
– edema scrotale
Oggi, grazie al PSA, è estremamente raro vedere pazienti in una fase avanzata di malattia e nei quali la diagnosi non sia stata posta in tempo.
Quali sono gli esami principali?
Gli esami diagnostici comunemente utilizzati per monitorare lo stato di salute della ghiandola prostatica sono strumenti oramai di routine:
– esplorazione rettale
– dosaggio del PSA
– ecografia trans-rettale (TRUS)
L’esplorazione rettale è un esame semplice, non invasivo che permette, in caso di alterazioni, di fare una prima diagnosi differenziale tra IPB (ipertrofia Prostatica benigna) e carcinoma prostatico.
Il test del PSA è un esame del sangue in grado di valutare i livelli ematici di una glicoproteina prodotta dalla prostata. In presenza di tumore i valori del PSA aumentano, perché il passaggio del PSA dalla cellula tumorale nel sangue è molto aumentato.
L’ecografia trans-rettale (TRUS) è una metodica diagnostica molto affidabile. L’esame viene effettuato ambulatorialmente con l’ausilio di una sonda ecografica introdotta per via rettale. Gli strumenti di ultima generazione sono in grado di evidenziare neoplasie di ridottissime dimensioni.
Come si arriva a una diagnosi certa?
L’agobiopsia prostatica è un esame fondamentale il cui grado di affidabilità è molto elevato.
L’esame bioptico potrebbe rivelare una neoplasia prostatica intra-epiteliale (PIN) o un adenocarcinoma della prostata.
Le neoplasie prostatiche intra-epiteliali (PIN) a basso grado non hanno un particolare significato patologico nel senso che non vi è un aumento del rischio di trovare in futuro un carcinoma prostatico; nelle PIN ad altro grado invece il rischio di trovare un carcinoma in agobiopsie successive va dal 30 al 50%.
Nel caso di PIN ad altro grado si suggerisce uno stretto monitoraggio del paziente.
Come si cura il tumore alla prostata?
Le possibilità terapeutiche del carcinoma prostatico sono fondamentalmente quattro:
– sorveglianza attiva
– trattamento chirurgico
– trattamento radioterapico
– trattamento medico
La sorveglianza attiva consiste nel seguire strettamente il paziente facendo una serie di esami periodici e talora ripetendo la biopsia prostatica. Questa filosofia di trattamento è indicata nei pazienti di età più avanzata e con malattia non aggressiva. Purtroppo il tallone di Achille di questo atteggiamento terapeutico consiste nel fatto che l’accuratezza dell’identificazione del grado di aggressività della malattia è errato in circa il 50% dei casi. In altre parole una malattia giudicata non aggressiva può essere aggressiva nel 50% dei pazienti. In questi casi si è persa l’occasione di trattare la malattia quando era possibile ottenere la guarigione definitiva
Il trattamento chirurgico consiste nell’asportazione totale della ghiandola prostatica. L’intervento di prostatectomia radicale si effettua in tutti quei casi in cui la neoplasia è interna alla capsula prostatica e in soggetti con un’aspettativa di vita non inferiore a 10 anni. Le complicazioni più serie sono impotenza e incontinenza urinaria. Tali complicanze però sono diventate sempre meno frequenti con l’affinarsi delle tecniche chirurgiche ed in particolare con l’avvento della chirurgia robotica.
Il trattamento radioterapico può essere esterno o intracavitario (brachiterapia). La radioterapia esterna viene utilizzata generalmente in pazienti anziani o in caso di tumore diffuso oltre la capsula prostatica. Normalmente la radioterapia esterna non comporta incontinenza urinaria e l’impotenza sessuale si manifesta più tardivamente rispetto al trattamento chirurgico. Inoltre le tecniche radianti moderne consentono di limitare la tossicità a livello di vescica e intestino.
La brachiterapia prevede un impianto di capsule contenenti sorgenti radioattive (palladio o iodio). L’impianto viene effettuato nella prostata tramite guida ecografica. E’ una procedura poco invasiva e di breve durata (circa un’ora e mezza). Le capsule radioattive restano nella ghiandola prostatica anche dopo aver esaurito la loro carica radioattiva.
Nel trattamento medico le opzioni sono l’ormonoterapia e la chemioterapia.
Il trattamento ormonale viene utilizzato quando la malattia si trova ormai in una fase generalizzata ed i trattamenti locali, come la chirurgia o la radioterapia, non trovano più indicazione. Un’altra indicazione è nei pazienti che presentino una ripresa della malattia dopo chirurgia o terapia radiante. Talvolta viene utilizzato in combinazione con il trattamento radioterapico.
La chemioterapia è indicata in tutti quei casi in cui la neoplasia sia diventata ormono-resistente. I chemioterapici più utilizzati sono i taxani. E’ del tutto recente la scoperta di nuovi farmaci come l’Abiraterone e lo MDV3100 che sono attivi anche in quei pazienti che hanno già fatto la terapia ormonale e/o la chemioterapia e che non rispondono più alla terapia.
Quali consigli si sente di dare ai lettori di questa intervista?
Il consiglio migliore che mi sento di dare ai nostri lettori è di fare frequentemente il PSA. Ogni anno se i valori sono inferiori ad 1ng/ml ed ogni sei mesi se i valori hanno superato il valore di 1ng/ml. Il lettore potrà chiedersi il perché di questa frequenza.
La risposta è semplice. Perché il valore assoluto del PSA ha una importanza relativa. E’ molto più importante l’andamento nel tempo. In altre parole un valore del PSA basso ma che mostra una tendenza ad aumentare ad ogni esame è molto più significativo di un PSA modicamente elevato.