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    30 Giugno 2017 · · Commenti disabilitati su Tumore alla prostata, intervista con il prof. Vito Pansadoro

    Tumore alla prostata, intervista con il prof. Vito Pansadoro

    In questa breve intervista il prof. Pansadoro risponde ad alcune delle domande più frequenti dei suoi pazienti riguardo al tumore della prostata.
    Prevenzione, fattori di rischio, diagnosi e trattamento del carcinoma prostatico sono argomenti che gli utenti del portale accoglieranno sicuramente con interesse, per conoscere meglio il proprio corpo e per prevenire una patologia diffusa ma ampiamente curabile. Soprattutto se diagnosticata precocemente.

    Prof. Pansadoro iniziamo con una domanda fondamentale: che cos’è il tumore della prostata?

    La prostata è una ghiandola dell’apparato riproduttivo maschile posizionata sotto la vescica e di fronte al retto, ha di norma le dimensioni di una noce e produce una parte del liquido seminale rilasciato durante l’eiaculazione.
    La patologia più grave che può colpire questa ghiandola è il carcinoma prostatico , il più frequente tumore maligno tra gli uomini oltre i 50 anni di età. Anche se la frequenza di questa patologia è in continuo aumento il rischio che la malattia abbia un esito letale non è particolarmente elevato, a patto che si faccia prevenzione e che la patologia venga scoperta per tempo.
    Circa il 70% degli adenocarcinomi ha origine nella zona più esterna della prostata, ed è pertanto molto importante controllare periodicamente lo stato della prostata e monitorare eventuali variazioni di forma e volume.
    Per questa ragione sono consigliati regolari controlli annuali a partire dai 50 anni d’età.
    Nel caso vi siano altri casi di carcinoma prostatico in famiglia i controlli devono iniziare a 40 anni.

    Quali sono i principali fattori di rischio del carcinoma prostatico?

    Uno dei principali fattori di rischio per il tumore della prostata è l’età : prima dei 40 anni le possibilità di ammalarsi di tumore della prostata sono scarse, ma aumentano sensibilmente dopo i 50 anni. Oltre i 65 anni le percentuali aumentano ulteriormente, tanto che 2 tumori su 3 vengono diagnosticati proprio in questa fascia di età. Oltre gli 80 anni il tumore della prostata è ancora più frequente ma nella maggior parte dei casi la malattia è asintomatica o ha una progressione molto lenta .
    Un altro fattore rilevante è la familiarità , il rischio di ammalarsi è doppio per chi ha un parente consanguineo (padre, fratello, ecc.) che ha sviluppato la malattia.
    La componente genetica è un fattore da tenere sotto controllo: la presenza di mutazioni in alcuni geni come BRCA1 e BRCA2 o del gene HPC1, può aumentare il rischio di sviluppare un cancro alla prostata.
    Lo stile di vita può incidere sul benessere generale dell’organismo e in tutti i casi determinate abitudini come una dieta ricca di grassi saturi, la mancanza di esercizio fisico e il sovrappeso possono favorire lo sviluppo e la crescita del tumore della prostata.

    Quando è opportuno consultare un urologo?

    Un uomo con un cancro alla prostata , soprattutto in fase iniziale, può non presentare alcun sintomo o avere una sintomatologia molto scarsa. Nei soggetti anziani, spesso i sintomi del tumore alla prostata vengono confusi con quelli dell’ipertrofia prostatica benigna.
    Comunque i sintomi più frequenti sono:

    – disturbi minzionali sia di tipo irritativo che ostruttivo (pollachiuria, stranguria, disuria)
    – dolori perineali

    In una fase più avanzata la malattia può manifestarsi con:

    – dolori alle ossa dovuti alle metastasi
    – insufficienza renale (da ostruzione ureterale)
    – ritenzione urinaria
    – edemi agli arti inferiori
    – edema scrotale

    Oggi, grazie al PSA, è estremamente raro vedere pazienti in una fase avanzata di malattia e nei quali la diagnosi non sia stata posta in tempo.

    Quali sono gli esami principali?

    Gli esami diagnostici comunemente utilizzati per monitorare lo stato di salute della ghiandola prostatica sono strumenti oramai di routine:

    esplorazione rettale
    dosaggio del PSA
    ecografia trans-rettale (TRUS)

    L’esplorazione rettale è un esame semplice, non invasivo che permette, in caso di alterazioni, di fare una prima diagnosi differenziale tra IPB (ipertrofia Prostatica benigna) e carcinoma prostatico.
    Il test del PSA è un esame del sangue in grado di valutare i livelli ematici di una glicoproteina prodotta dalla prostata. In presenza di tumore i valori del PSA aumentano, perché il passaggio del PSA dalla cellula tumorale nel sangue è molto aumentato.
    L’ecografia trans-rettale (TRUS) è una metodica diagnostica molto affidabile. L’esame viene effettuato ambulatorialmente con l’ausilio di una sonda ecografica introdotta per via rettale. Gli strumenti di ultima generazione sono in grado di evidenziare neoplasie di ridottissime dimensioni.

    Come si arriva a una diagnosi certa?

    L’agobiopsia prostatica è un esame fondamentale il cui grado di affidabilità è molto elevato.
    L’esame bioptico potrebbe rivelare una neoplasia prostatica intra-epiteliale (PIN) o un adenocarcinoma della prostata.
    Le neoplasie prostatiche intra-epiteliali (PIN) a basso grado non hanno un particolare significato patologico nel senso che non vi è un aumento del rischio di trovare in futuro un carcinoma prostatico; nelle PIN ad altro grado invece il rischio di trovare un carcinoma in agobiopsie successive va dal 30 al 50%.
    Nel caso di PIN ad altro grado si suggerisce uno stretto monitoraggio del paziente.

    Come si cura il tumore alla prostata?

    Le possibilità terapeutiche del carcinoma prostatico sono fondamentalmente quattro:

    – sorveglianza attiva
    – trattamento chirurgico
    – trattamento radioterapico
    – trattamento medico

    La sorveglianza attiva consiste nel seguire strettamente il paziente facendo una serie di esami periodici e talora ripetendo la biopsia prostatica. Questa filosofia di trattamento è indicata nei pazienti di età più avanzata e con malattia non aggressiva. Purtroppo il tallone di Achille di questo atteggiamento terapeutico consiste nel fatto che l’accuratezza dell’identificazione del grado di aggressività della malattia è errato in circa il 50% dei casi. In altre parole una malattia giudicata non aggressiva può essere aggressiva nel 50% dei pazienti. In questi casi si è persa l’occasione di trattare la malattia quando era possibile ottenere la guarigione definitiva
    Il trattamento chirurgico consiste nell’asportazione totale della ghiandola prostatica. L’intervento di prostatectomia radicale si effettua in tutti quei casi in cui la neoplasia è interna alla capsula prostatica e in soggetti con un’aspettativa di vita non inferiore a 10 anni. Le complicazioni più serie sono impotenza e incontinenza urinaria. Tali complicanze però sono diventate sempre meno frequenti con l’affinarsi delle tecniche chirurgiche ed in particolare con l’avvento della chirurgia robotica.
    Il trattamento radioterapico può essere esterno o intracavitario (brachiterapia). La radioterapia esterna viene utilizzata generalmente in pazienti anziani o in caso di tumore diffuso oltre la capsula prostatica. Normalmente la radioterapia esterna non comporta incontinenza urinaria e l’impotenza sessuale si manifesta più tardivamente rispetto al trattamento chirurgico. Inoltre le tecniche radianti moderne consentono di limitare la tossicità a livello di vescica e intestino.
    La brachiterapia prevede un impianto di capsule contenenti sorgenti radioattive (palladio o iodio). L’impianto viene effettuato nella prostata tramite guida ecografica. E’ una procedura poco invasiva e di breve durata (circa un’ora e mezza). Le capsule radioattive restano nella ghiandola prostatica anche dopo aver esaurito la loro carica radioattiva.
    Nel trattamento medico le opzioni sono l’ormonoterapia e la chemioterapia.
    Il trattamento ormonale viene utilizzato quando la malattia si trova ormai in una fase generalizzata ed i trattamenti locali, come la chirurgia o la radioterapia, non trovano più indicazione. Un’altra indicazione è nei pazienti che presentino una ripresa della malattia dopo chirurgia o terapia radiante. Talvolta viene utilizzato in combinazione con il trattamento radioterapico.
    La chemioterapia è indicata in tutti quei casi in cui la neoplasia sia diventata ormono-resistente. I chemioterapici più utilizzati sono i taxani. E’ del tutto recente la scoperta di nuovi farmaci come l’Abiraterone e lo MDV3100 che sono attivi anche in quei pazienti che hanno già fatto la terapia ormonale e/o la chemioterapia e che non rispondono più alla terapia.

    Quali consigli si sente di dare ai lettori di questa intervista?

    Il consiglio migliore che mi sento di dare ai nostri lettori è di fare frequentemente il PSA. Ogni anno se i valori sono inferiori ad 1ng/ml ed ogni sei mesi se i valori hanno superato il valore di 1ng/ml. Il lettore potrà chiedersi il perché di questa frequenza.
    La risposta è semplice. Perché il valore assoluto del PSA ha una importanza relativa. E’ molto più importante l’andamento nel tempo. In altre parole un valore del PSA basso ma che mostra una tendenza ad aumentare ad ogni esame è molto più significativo di un PSA modicamente elevato.

    30 Giugno 2017 · · Commenti disabilitati su Chirurgia robotica in urologia, ne parliamo con il prof. Vito Pansadoro

    Chirurgia robotica in urologia, ne parliamo con il prof. Vito Pansadoro

    Prof Pansadoro parliamo di chirurgia robotica, di che cosa si tratta?

    La chirurgia robotica è una tecnica operatoria mini invasiva che permette al paziente di non provare dolore dopo l’intervento e al chirurgo di operare con precisione assoluta. Grazie alla precisione del robot Da Vinci® oggi siamo in grado di eliminare il tumore alla prostata o ai reni rispettando completamente le funzioni degli organi. Possiamo riassumere i vantaggi dell’utilizzo del robot in alcuni punti:

    – alta definizione delle immagini (HD)
    – recupero della visione 3D (dimensioni), che con la laparoscopia si perdeva
    – visione stabile, perché l’ottica (telecamera) viene controllata da un braccio articolato
    – movimenti di alta precisione, con una demoltiplica dei movimenti del chirurgo da 5 ad 1
    – manualità del chirurgo non vincolata, grazie al fatto che l’estremità degli strumenti è del tutto snodabile

    Qual è, a suo avviso, il maggiore beneficio della chirurgia robotica?

    La visione in alta definizione, la tridimensionalità, ingrandimenti di 10-15 volte e una grande versatilità degli strumenti utilizzati, che permettono al chirurgo di ottenere risultati altrimenti impossibili con la classica chirurgia laparoscopica. Le faccio un esempio concreto: la visione in 3D permette di individuare con estrema precisione i fasci nervosi durante un intervento di prostatectomia radicale. Tutto ciò limita fortemente il rischio di impotenza nel paziente. Sempre nella prostatectomia, la possibilità di agire con precisione assoluta nella sutura, permette un’anastomosi ottimale, scongiurando l’incontinenza urinaria. Non è un caso che oggi oltre il 90% delle prostatectomie radicali negli Stati Uniti siano eseguite con l’aiuto del robot DaVinci®.

    Quali interventi urologici possono essere eseguiti utilizzando il robot?

    Come dicevo, l’intervento più frequente è la prostatectomia radicale, che rappresenta il 90% delle indicazioni. Ma oramai sono di routine la Cistectomia radicale, la pieloplastica per le ostruzioni congenite del Giunto pieloureterale, la chirurgia del prolasso urogenitale (promonto-fissazione), la nefrectomia ed in particolare gli interventi di chirurgia ricostruttiva. Purtroppo gli effetti collaterali per patologie a carico dell’apparato genito-urinario possono compromettere fortemente la qualità della vita: nella chirurgia robot-assistita considero riuscito un intervento quando il tumore è rimosso totalmente e il paziente mantiene continenza e potenza sessuale. Nelle migliori mani, la chirurgia robotica per il tumore della prostata è efficace e raggiunge questi obiettivi in oltre l’80% dei casi.

    Quanto dura la convalescenza dopo l’intervento?

    I pazienti in genere vengono dimessi dopo tre o quattro giorni dall’intervento. Il catetere viene utilizzato per circa 6 giorni, in rari casi si lascia un drenaggio per qualche giorno in più. I pazienti vengono invitati ad alzarsi dal letto la sera stessa dell’intervento e mangiano regolarmente dopo alcune ore dalla procedura. Il recupero a casa è piuttosto rapido e dura poche settimane.

    Quante procedure robotiche ha eseguito la sua equipe in questi ultimi anni?

    Ho avuto la fortuna di lavorare con il sistema Da Vinci prima negli Stati Uniti e poi in Italia. In questi anni ho eseguito molte centinaia di interventi robotici ed a breve pubblicheremo una casistica completa con tutti i dettagli. Per un paziente è importante conoscere l’esperienza e la competenza del proprio medico di riferimento e confrontare le varie possibilità di intervento.

    Quanti interventi sono necessari per raggiungere una completa padronanza della tecnica?

    Per ottenere buoni risultati dal punto di vista oncologico e funzionale sono necessari almeno 100 interventi, per questo la Fondazione Vincenzo Pansadoro promuove corsi di aggiornamento per giovani urologi e un congresso annuale dedicato alle tecniche chirurgiche più avanzate. E sono felice di annunciare che quest’anno il congresso Challenges in Laparoscopy & Robotics giunge alla decima edizione.

    Quali sono le novità di questa edizione che, lo ricordiamo, si svolgerà a Pechino?

    Innanzi tutto diciamo che il congresso di quest’anno è il primo evento ufficiale che promuove una stretta collaborazione tra urologi europei e cinesi. I colleghi dell’Estremo Oriente hanno una grande competenza nella chirurgia laparoscopica, in particolare nella via retroperitoneale. Al contrario i chirurghi europei utilizzano già da anni il robot Da Vinci. Avremo quindi modo di confrontare le varie tecniche. Infatti lo stesso intervento sarà eseguito in contemporanea con le diverse tecniche. Si parlerà di innovazione, eccellenza, e sviluppo delle tecniche mini invasive presenti e future. A questo proposito durante il congresso sarà possibile assistere a interventi, presentazioni, tavole rotonde con i più importanti chirurghi del mondo attivi nel campo della laparoscopia e della robotica.

    Quale esperienza porta l’Italia a Pechino?

    L’Italia è una nazione europea all’avanguardia, con circa 60 robot già installati e attivi. I colleghi cinesi, nei centri di eccellenza trattano circa il 90% dei casi con la chirurgia laparoscopica, e i robot in tutta la Cina non arrivano a 20. Lo scopo del Congresso di Pechino è essenzialmente un confronto tra le tecniche europee e quelle utilizzate in Cina. Durante il congresso in appena tre giornate verranno eseguiti ben 24 interventi, ad opera dei migliori chirurghi laparoscopisti europei e americani. Alcuni nomi tra i tanti: Prof. Urs Studer di Berna, Prof. Michael Marberger di Vienna, Prof. Antonio Alcaraz di Barcellona, Prof. Aldo Bocciardi di Milano, Prof. Inderbir Gill di Los Angeles, Prof. Markus Hohenfellner di Heidelberg, Prof. Vipul Patel di Orlando, Prof. Jens Uwe Stolzenburg di Lipsia ed infine anche il sottoscritto.

    Si annunciano ulteriori sviluppi tecnologici nel campo della robotica chirurgica?

    Ad oggi, non è più una pretesa assurda quella del malato oncologico di guarire ma soprattutto di venir curato nella maniera più dolce possibile, evitando interventi debilitanti e fortemente demolitivi. Questo è a mio parere il futuro della robotica in sala operatoria: innovazione e sviluppo per ottenere risultati clinici eccellenti, minor rischio di complicanze e recupero più rapido. Quello che posso affermare con certezza è che la Fondazione Vincenzo Pansadoro è, e resterà, un centro all’avanguardia nella pratica chirurgica e nella didattica, per offrire ai pazienti le tecniche più aggiornate, e ai medici una formazione sempre più qualificata.

    30 Giugno 2017 · · Commenti disabilitati su Neoplasie renali, prevenzione, diagnosi e cura

    Neoplasie renali, prevenzione, diagnosi e cura

    Prof. Pansadoro oggi parliamo del tumore del rene, malattia imprevedibile, spesso asintomatica ma talvolta aggressiva e con crescita molto rapida.

    Il carcinoma renale è il terzo tumore urologico più frequente dopo quello alla prostata e alla vescica e colpisce soprattutto gli uomini oltre i 60 anni d’età. Oggi viene spesso curato in modo definitivo, anche nei casi più difficili, perché scoperto quando è in forma ancora localizzata, mentre forme voluminose, magari già con metastasi, si diagnosticano sempre più raramente.

    Il tumore del rene è molto diffuso?

    Il tumore del rene rappresenta circa il 2 per cento di tutti i tumori e si presenta nel sesso maschile con una frequenza doppia rispetto al sesso femminile. La probabilità di sviluppare questo tumore cresce con l’aumentare dell’età ed il picco massimo di insorgenza è appunto intorno ai 60 anni.

    Chi è a rischio?

    Tra i fattori esogeni, il principale ed il più diffuso fattore di rischio è il fumo di sigaretta: il numero di sigarette fumate ogni giorno e il numero di anni di esposizione sono direttamente proporzionali all’aumento del rischio di questa malattia.
    Un altro fattore di rischio per il tumore del rene è rappresentato dall’esposizione cronica ad alcuni metalli e sostanze particolari (l’asbesto, il cadmio, la fenacetina ed il torotrasto).
    Anche l’obesità, l’ipertensione arteriosa e la dialisi di lunga durata sono fattori di rischio.
    Esistono infine delle forme ereditarie molto rare quali la sindrome di von Hippel-Lindau, trasmessa dal gene VHL.

    Quali sono le diverse tipologie del cancro del rene?

    Quando parliamo delle malattie neoplastiche del rene dobbiamo innanzitutto distinguere tra i tumori del parenchima renale ed i tumori delle vie urinarie, a livello renale.
    Gli Adenocarcinomi rappresentano la forma tumorale più frequente (75% dei casi) e sono tumori del parenchima. Vi sono poi le neoplasie transizionali che originano dall’epitelio di rivestimento delle cavità renali e delle vie urinarie. In questi casi la chirurgia deve essere estesa a tutto l’albero urinario omolaterale perché limitare l’intervento alla nefrectomia significa lasciare nel paziente delle strutture potenzialmente malate.
    Un altro tipo di tumore del rene, più raro, è rappresentato dai sarcomi nelle loro varie forme (liposarcomi, leiomiosarcomi, rabdomiosarcomi, angiosarcomi, fibrosarcomi) che originano da tessuti diversi (dalla capsula oppure dalle strutture che circondano il rene).

    Quali sintomi possono indicare la presenza di questa patologia?

    In fase iniziale questa malattia può non avere alcuna sintomatologia specifica. Comunque il sintomo clinico per eccellenza del tumore renale è l’ematuria (sangue nelle urine). Attualmente data la frequenza con cui vengono eseguiti esami di controllo come l’ecografia renale, più del 60% dei tumori del rene viene diagnosticato in fase precoce, quando è ancora possibile procedere alla asportazione del solo tumore evitando la nefrectomia radicale. Altri sintomi classici di tumore del rene sono una massa palpabile nell’addome ed il dolore localizzato a livello lombare. I sintomi sono contemporaneamente presenti solo nel 10 % dei casi e generalmente sono espressione di una malattia già in fase avanzata. Peraltro, data la precocità della diagnosi, oggi è estremamente raro che un paziente presenti questi sintomi clinici.

    E’ possibile prevenire il tumore del rene?

    Non si può, per la verità, parlare di prevenzione quanto di diagnosi precoce. Allo stato attuale non è possibile prevenire il tumore del rene, se non evitando i fattori di rischio come ad esempio il fumo. L’esecuzione annuale di un’ecografia dell’addome può favorire la diagnosi precoce sia del tumore al rene che di patologie tumorali di altri visceri (fegato, pancreas).

    Il cancro del rene può dare metastasi?

    Sì, sia attraverso i vasi linfatici regionali sia attraverso i vasi sanguigni. E’ interessante sottolineare che alcune neoplasie sono particolarmente aggressive e anche se confinate al rene e di piccole dimensioni, possono dare metastasi ad altri organi. Nella maggioranza dei casi le metastasi si presentano tra il secondo ed il quarto anno dopo l’intervento chirurgico: per questo gli urologi intensificano i controlli proprio in questo periodo ed è molto importante che i pazienti seguano con attenzione i consigli del loro medico di fiducia.

    Parliamo adesso degli esami diagnostici.

    L’esame clinico e la presenza di sangue nelle urine consentono di solito solo diagnosi tardive. Per una diagnosi precoce è fondamentale il supporto dato dalla diagnostica per immagini. L’ecografia è in grado di distinguere tra una massa di natura solida (più preoccupante) ed una cisti (in genere ripiena di liquido), mentre la tomografia computerizzata (TAC) o la Risonanza Magnetica (RM) oltre a distinguere la natura della massa offrono ulteriori informazioni sull’estensione locale della malattia e su eventuali metastasi. La classica Urografia è ormai considerato un esame obsoleto ed è stato sostituito completamente dalla UroTAC o dalla UroRM che ci permettono di visualizzare e di ricostruire perfettamente le vie urinarie. La citologia urinaria è indicata quando vi sia un sospetto di neoplasia delle vie urinarie.

    Le principali indicazioni sono quelle per un intervento chirurgico che salvaguardi la funzionalità dell’organo. È esatto?

    Per minimizzare l’invasività delle terapie anche quando il rene controlaterale (quello non intaccato dal cancro) è sano, si procede con interventi chirurgici detti “nephron-sparing”. Si rimuove solo la zona dell’organo affetta dal tumore con una porzione di tessuto sano circostante per avere un margine di sicurezza. La parte di rene residuo rimane in sede e può svolgere le sue funzioni in modo naturale. La premessa fondamentale è che la neoplasia abbia dimensioni contenute, fino a 4-6 centimetri di diametro, e che sia trattabile chirurgicamente. Cioè che sia visibile sulla superficie dell’organo e non interessi l’ilo renale dove sono presenti i vasi principali del rene Questo approccio, alla base della chirurgia mini-invasiva ‘organ-sparing’, è indicato in tutti i casi di pazienti che hanno un unico rene, anche se il carcinoma è di dimensioni superiori ai 4 centimetri, per evitare la dialisi.

    Tutto questo è possibile grazie ai grandi progressi in laparoscopia e soprattutto nella robotica. Cosa consiglia ai suoi pazienti?

    La chirurgia laparoscopica e robotica mini invasiva ha fatto negli ultimi anni passi da gigante. Gli interventi di Tumorectomia Renale si eseguono oggi in maniera ottimale con la laparoscopia, ma ancora meglio con la chirurgia robotica. Infatti, il Robot “da Vinci” è dotato di una visione in alta definizione (HD) ed a “3D”, preziosa per questa chirurgia che si svolge all’interno del rene, con un ingrandimento fino a 10 volte. I bracci articolati hanno una libertà di movimento completa, il che permette di sezionare il parenchima renale con un margine di sicurezza di 5-10 mm intorno alla neoplasia, ovviamente in relazione alla posizione della neoplasia. Anche nel decorso post-operatorio i vantaggi rispetto alla chirurgia tradizionale sono notevoli: ridottissime perdite ematiche, minor tempo di ospedalizzazione e di ripresa delle normali attività.
    A patto, però, di affidarsi a centri che possano vantare esperienza consolidata in questo campo.

    Per quanto riguarda chemioterapia e radioterapia è corretto dire che le neoplasie renali non rispondono a cure di questo tipo?

    La cura dei tumori avanzati è alquanto problematica, per quanto riguarda il rene. L’adenocarcinoma non risponde, infatti, alla maggior parte degli agenti chemioterapici disponibili, che non hanno potere distruttivo su questa neoplasia. Per questo la chirurgia costituisce la terapia di riferimento anche nei confronti di carcinomi renali in stadio avanzato, con invasione degli organi adiacenti o in progressione metastatica.

    Quindi in caso di insuccesso della chirurgia non vi sono altre terapie disponibili?

    Fortunatamente da qualche anno la ricerca di base e la ricerca clinica hanno individuato delle molecole, conosciute come “terapie a bersaglio molecolare”, che agiscono sui varie recettori e fattori di crescita vascolari che alimentano la crescita del tumore. Infatti senza la neo angiogenesi la malattia non può progredire. Bloccando questi fattori di crescita si riesce a controllare lo sviluppo del tumore e/o delle metastasi. In pratica non si elimina la malattia ma si impedisce che questa avanzi e può anche regredire. In altre parole ci si avvia verso la cronicizzazione della malattia, anche per molto tempo. Infatti la sopravvivenza mediana di questi pazienti, in questa fase di malattia metastatica, si aggira sui 2-3 anni.

    E nel campo dell’Oncologia guadagnare anni può significare moltissimo, dato il continuo sviluppo di questa branca della medicina.